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La costruzione di una terza cantina di vinificazione avvenne poi nel 1867, presto ribattezzata Cantinone, in quanto non si trattava di una sola cantina bensì di tre cantine collegate. Infatti Dionigi Ruggero Damonte, prozio dell’attuale proprietario, l’aveva dovuta costruire così per i suoi tre nipoti, incapaci di lavorare in armonia e cooperazione.
Passano alcuni decenni quando, nel 1940, alla morte del bisnonno Maurizio, detto Lotu, un omone di 130 kg alto 190 cm, famoso perché capace di versare il vino da un bottiglione da 12 litri in un bicchiere senza versarne neanche una goccia, la tenuta viene divisa tra 8 figli, riducendosi molto in dimensioni e prestigio.
Solo uno dei figli, Giovanni, detto Gioanot, decise di proseguire con l’attività enologica che fu successivamente espansa dal figlio Pierino, detto Pierin, il quale decise nel 1961 di spostare, nella valle sottostante, l’attività nella nuova cantina. Quello stesso anno nacque Maurizio, attuale proprietario, che inizialmente intraprese un percorso lontano dal mondo dell’enologia, prima aprendo una software-house e poi passando all’autronica. Rientrato da lunghi periodi all’estero, Maurizio, insieme alla moglie Daniela, decise infine di seguire le orme del padre e di investire nell’enoturismo e, di trasformare quindi l’azienda vinicola di famiglia da piccola Cantina Pierino Vellano a Ca’ San Sebastiano Wine Resort & SPA.
Durante i lavori di restauro della terza cantina della famiglia, il ‘Cantinone’, venne ritrovata una statuetta egizia del VI secolo A.C. raffigurante il dio Osiride. Questa statuetta racchiude in sé il legame tra il Monferrato e l’Antico Egitto. Raffigura Osiride, dio della rigenerazione, dell’oltretomba, sovrano dei defunti, garante della sopravvivenza umana e dio del vino. È rappresentato stante, mummiforme, con la barba posticcia; sul capo porta la corona atef e l’ureo e regge nelle mani i simboli del potere dei re: lo scettro hekat e il flagello nekhekh.
Dopo varie ricerche si scoprì che il precedente proprietario della casa Perpetuo Dionigi Damonte, nonché antenato dell’attuale, intraprese la via della chiesa, e partì come missionario apostolico in Medio Oriente ed Terra Santa. Durante i suoi viaggi, venne a conoscenza di un personaggio curioso, ambiguo e affascinante, Giambattista Boetti, nato come lui a Camino nel 1743 e morto nel monastero di Solovki in Russia nel 1798.
Rientrato in Italia e divenuto parroco nel paesino d’origine, prese dimora proprio presso la casa del Boetti e qui trovò delle lettere che lo spinsero, nel 1882, a scriverne una biografia. Il ritrovamento della statuetta del dio Osiride nella casa del Damonte è per questo molto intrigante: sebbene non sia possibile sapere se il reperto sia appartenuto al Boetti o sia stato acquistato dal Damonte, è però chiaro che ci sia stata la volontà di mettere un’immagine del signore della rigenerazione e dio del vino, a protezione della cantina dove riposava il vino stesso. Più probabilmente il Damonte aveva cercato in questa divinità egizia l’aiuto per far dialogare e cooperare i tre fratelli litigiosi.